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Sabato, 20 Aprile 2024
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Ius Soli: dalla parte del minore

Ius Soli: dalla parte del minore

Il minore figlio di immigrati, nato in un paese ospite o qui giunto in tenera età, è un individuo sospeso tra due mondi che includono diverse culture, religioni, usi e costumi, lingue.

Tale “sospensione” genera spesso conflitti più o meno accentuati a seconda del grado e della qualità di integrazione acquisita, determinata dall’ambiente che accoglie.

Tale smembramento, sempre in bilico tra un’appartenenza e l’altra, è terreno fertile per insicurezze e frustrazioni che naturalmente, se non prese in considerazione, in un soggetto in fase evolutiva, possono rivelarsi fonti per psicopatologie più o meno gravi in età adulta.

Sul piano giuridicoquesta condizione di sospensione tra due mondi (geografici e culturali) è stata ampiamente dibattuta negli ultimi giorni. Infatti, in quest’ambito, il minore immigrato può essere considerato, in base allo jussanguinis, come portatore - o "erede" - della cittadinanza del paese di provenienza dei propri genitori, oppure, in base allo jus soli, può essere assimilato alla cultura e alle leggi del paese dov’è nato.

In paesi all’avanguardia, come accade in Francia,viene lasciata al figlio stesso, la decisione di appartenere all’una o all’altra cittadinanza, una volta raggiunta la maggiore età. Tale acquisizione potrebbe solo in parte mitigare il senso di non appartenenza. Di fatto le diversità ereditate, sia fisiche che culturali, potrebbero ancora rappresentare un grosso ostacolo psicologico per sentirsi veramente parte integrante ed importante del paese ospite e degli ambienti dove si trova inserito: scuola, palestre, quartieri.

Tale situazione di bilico e di transizione, si stima che duri per almeno due generazioni. Gli effetti psicologici e culturali del "viaggio" (inteso come spostamento, reale e metaforico, tra "luoghi" geograficamente e culturalmente differenti) continuano ad agire su questi soggetti, sia quando essi lo hanno sperimentato in prima persona, sia quando il viaggio è stato inizialmente intrapreso dalle generazioni precedenti.

Stiamo parlando di immigrati involontari, bambini che hanno subito l’immigrazione, non che l’hanno decisa. Bambini su cui tale situazione di diversità economica e sociale, li renderà adolescenti ancora più a rischio di devianze comportamentali e problematiche psicologiche rispetto ai loro coetanei del paese ospite. Bambini più esposti a fenomeni di bullismo e a inglobamento nella delinquenza organizzata, proprio perché più fragili ed in cerca di identità e con genitori spesso entrambi costretti ad orari di lavoro prolungato. Bambini e bambine che potrebbero quindi più facilmente essere prede di malviventi nell’ambito del narcotraffico o della prostituzione minorile.

Ecco quindi che nasce la necessità di un intervento più assiduo di specialisti nel settore sociale e di un monitoraggio più serrato. Bambini involontariamente immigrati o figli di immigrati, ne sono in misura sempre maggiore in Europa, questo è chiaro. Ciò che non lo è, è per quanto tempo essi saranno considerati tali e per quante generazioni. Quando cioè si smette di essere considerati socialmente “immigrati”? Per quanto tempo cioè dovranno sentirsi con una identità non ben collocabile?

Per monitorare il grado di benessere di tali minori, si è passati a considerare non soltanto criteri fisici quali una sana e completa alimentazione, una buona immunizzazione, ma anche criteri sociali come un adeguato grado di scolarità e criteri psicologici quali i comportamenti a rischio, uso del tempo, qualità del supporto familiare, speranza e fiducia nel futuro oppure paura e ansia del futuro, stabilità abitativa, qualità dell’ambiente domestico e del microambiente sociale, presenza di violenze nella vita del bambino o di minacce di violenza, crimini perpetrati da e contro i giovani, possibilità di avere tempo libero e opportunità ricreative, qualità di vita dei bambini disabili o affetti da patologie croniche, nonché alcuni rilevatori dell’esclusione sociale.

Scrive ad esempio Amartya Sen: "I funzionamenti rilevanti per il benessere variano da quelli più elementari, quali l’evitare gli stati di morbilità e di mortalità, essere adeguatamente nutriti, avere mobilità e così via, a numerosi altri funzionamenti più complessi, quali l’essere felici, raggiungere il rispetto di sé, prendere parte alla vita della comunità, apparire in pubblico senza provare un senso di vergogna".

Una volta stabiliti quindi i criteri di benessere, lo sforzo del settore sociale, sta nell’individuarli nei singoli casi e di andare ad analizzarli in relazione all’effettivo “stare bene”. Si può stare bene ed essere felici nonostante i fattori di benessere siano presenti in minima quantità o, viceversa, si può non stare bene e non essere felici nonostante ne siano presenti in misura considerevole. Compito primario è quindi quello di andare a verificare se sussista l’insieme di quelle condizioni per prevenire o rimuovere uno stato di non benessere, barriera per un sano sviluppo, intervenendo in modo prioritario nell’insegnamento della nuova lingua per evitare ritardi nell’apprendimento scolastico e isolamento sociale che altro non farebbe che aumentare il già enorme senso di abbandono, di discriminazione e di non appartenenza e proseguendo con sostegni psicologici personalizzati. Lo Ius soli, non senza un adeguato sostegno psicologico, potrebbe almeno in parte leviare le suddette condizioni, se non altro da un punto di vista giuridico.

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