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Lunedì, 29 Aprile 2024
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“Il governo cittadino a Carmiano in antico regime”, di Mario Spedicato

“Il governo cittadino a Carmiano in antico regime”, di Mario Spedicato

Carmiano finisce di essere solo un toponimo del territorio salentino (saltus carmianensis) per diventare una piccola comunità solo a metà del XV secolo, poco prima che il feudo fosse acquisito dai Celestini di Santa Croce di Lecce. Da allora viene segnalato nelle fonti coeve come un casale “non murato” cioè senza mura difensive e senza porte di accesso controllate, come nei paesi limitrofi di Copertino, Veglie e Leverano, la cui origine affonda nel cuore del Medioevo. Rispetto agli insediamenti dotati di castelli angioini (Copertino) e di torri federiciane (Leverano) ovvero di visibili reperti di difesa per documentare una storia più antica, Carmiano non può vantare nulla di tutto questo, essendo di nascita posteriore, tardo-medioevale, un agglomerato urbano cioè di più recente impianto, aperto e senza linee di protezione, la cui sopravvivenza è interamente legata alla politica insediativa messa in opera dai Celestini di Lecce a partire dall’inizio del XVI secolo per rendere il loro feudo produttivo e conveniente sul piano economico attraverso l’esazione sempre più larga dei vari diritti signorili.
A Carmiano per la sua ristretta dimensione abitativa dovuta al lento e contrastato sviluppo demografico viene sempre attribuito nella documentazione ufficiale il titolo di casale, quasi mai quello di “universitas civium” attribuito solo alle comunità urbane di una certa importanza istituzionale (Lecce, Gallipoli, Nardò, Copertino, ecc.). Ciononostante in modo particolare nel XVIII secolo gli amministratori del paese scelgono di utilizzare il termine “università” nelle carte trasmesse a Napoli per non sentirsi declassati rispetto ai centri più vicini, che godono di questo privilegio da tempi più remoti. Un’attestazione, quella di universitas, che si consolida in maniera crescente, suffragata dal ruolo esercitato in difesa dei diritti dei propri cittadini in seguito alla lunga controversia accesa contro la feudalità nel primo Settecento. Solo allora il governo cittadino si scopre come un potere influente, rispetto soprattutto agli altri due predominanti, quello feudale ed ecclesiastico, ormai declinanti, posizionati sulla difensiva dopo che la Camera della Sommaria, il maggiore tribunale del Regno, accoglie le rivendicazioni della popolazione sostenute dagli amministratori dell’epoca, ridimensionando le esose pretese fiscali e le illegittime invadenze giurisdizionali dei Celestini di Lecce in particolari ambiti della vita comunitaria.        
Da quella data Carmiano come “universitas civium” applica in maniera continuativa lo stesso ordinamento normativo dei grandi centri per la formazione del governo cittadino. In buona sostanza si sceglie il sistema cetuale a rotazione, affidando ai tre ceti esistenti la scelta degli amministratori locali. Sia il ceto dei nobili, quanto quello dei mediocri (borghesia e professioni liberali) e degli infimi (contadini nullatenenti e piccoli proprietari, artigiani di basso livello, manovalanza lavorativa diversamente tipologizzata) hanno il diritto di esprimere a turnazione il sindaco e due decurioni (equivalenti agli assessori attuali), espressi liberamente e senza interferenze dal gruppo cetuale di appartenenza. Il sindaco resta in carica solo per un anno, la cui amministrazione inizia il 1° settembre e termina il 31 agosto dell’anno successivo (calendario bizantino). Il periodo amministrativo si chiude con l’invio del bilancio comunale a Napoli per l’approvazione regia, che avviene sempre con largo ritardo, confluendo nel calderone documentario degli “Stati Discussi” ovvero degli Atti Amministrativi vidimati dal potere centrale. Non tutti i sindaci risultano alfabetizzati se diversi atti giungono a destinazione con la firma del segno della croce, casi riscontrabili con maggiore frequenza quando alla guida dell’amministrazione si trova un sindaco del terzo ceto. Le competenze di pertinenza dei comuni coprono pochi e circoscritti settori operativi. Le risorse finanziarie residuali, detratte quelle riconducibili alla fiscalità generale, a malapena assicurano lo stipendio annuale del medico (dottore fisico), dell’ostetrica (la mammana), del mastrodatti (scrivano comunale), a cui aggiungere le spese per le periodiche manutenzioni della chiesa matrice, la predicazione quaresimale, la celebrazione della festa patronale, e, in via eccezionale, l’alfabetizzazione primaria, di solito affidata ad uno o più sacerdoti della parrocchia. A queste si sommano le spese giudiziarie (quasi sempre registrate fuori bilancio) per la provvista degli avvocati presso il tribunale del Sacro Regio Consiglio di Lecce e della Regia Camera della Sommaria di Napoli. Agli amministratori locali viene inizialmente affidata anche la riscossione delle imposte regie, ma subito inibiti per palese incapacità e appaltata privatamente ad arrendatori quasi sempre forestieri (come i Quitato, i Guainari e i Ravaschiero Pinelli, tutti di origine genovese), che con le tasse ci fanno la “cresta” e guadagni non trascurabili. Il fabbisogno finanziario dell’università di Carmiano si attesta nel Settecento intorno a 1200-1300 ducati annui.
Di questi larga parte (quasi il 40%) sono destinati alla Regia Corte, un’altra parte, quasi il 30% ai creditori fiscalari e un 13-15% all’appaltatore per lo jus esationis (delegato a riscuotere tasse comunali come il testatico sul capofamiglia e l’industria sul lavoro). In buona sostanza oltre l’80% delle risorse disponibili sono assorbite dagli obblighi tributari e il resto (meno del 20%) dalle spese comunitarie, destinate queste ultime ad assicurare i servizi essenziali (medico e ostetrica) e gli impegni statutari, in massima parte di natura religiosa. Le crescenti difficoltà finanziarie dovute al mancato conseguimento del pareggio di bilancio per l’impossibilità di realizzare la riforma catastale con l’imposizione sulle proprietà realmente possedute riporta indietro la lancetta fiscale con il ritorno al sistema gabellare ossia alla tassazione diretta dei beni di prima necessità (tra cui il sale, la farina e altri generi alimentari). L’antico regime chiude i battenti come li aveva aperti, cioè ridando centralità fiscale alla gabella come strumento primario di tassazione.
Una significativa svolta si registra nel primo Ottocento, nel periodo della dominazione francese (1806-15), quando si assiste ad una radicale riforma nel governo delle municipalità. Abolita la feudalità e ridimensionato il ruolo della chiesa l’amministrazione comunale diventa centrale per la gestione del potere periferico. Ai Comuni vengono attribuite nuove e più vaste competenze, a partire dai registri anagrafici, prima gestiti dalle parrocchie, e per finire all’assistenza pubblica, passando dalla sistemazione urbanistica e dalla cura della viabilità stradale. La carica di sindaco non è, come prima, disponibile per tutti i cittadini, ma solo per i proprietari alfabetizzati, i cosiddetti “galantuomini”, quelli cioè che sanno leggere e scrivere, capaci di allestire un bilancio comunale e iscritti nel registro dei contribuenti fiscali. La terra diventa ora il bene primario da tassare, ma non in maniera indiscriminata, ma a secondo del suo intrinseco valore, di prima, seconda o terza classe. Da qui la nascita di una nuova schiera di amministratori, in larga parte provenienti da Lecce e dal circondario che si stabiliscono a Carmiano in seguito alla svendita del patrimonio immobiliare feudale e degli Ordini religiosi, il cui profilo sociale non muterà nel periodo post-unitario, quando il comune diventa la prima azienda pubblica del paese con un suo apparato burocratico in continua crescita.             
 
Mario Spedicato
 
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